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Isadora Duncan
Collana Sirene, Edizioni El

Illustratrici: Anna e Elena Balbusso

Isadora è una bambina con la grazia di una farfalla e la forza di un uragano. In fuga dalla scuola, a piedi nudi sulla sabbia, inventa la sua danza. E’ un attimo, ed è una rivoluzione.
Isadora danza per sé, per la sua famiglia, per il mondo intero, nei teatri e nelle strade. Perché la danza è arte, è libertà, è vita. Niente e nessuno la può fermare.

Piangevo di rabbia e camminavo con gli occhi fissi sulle onde, che si alzavano, si gonfiavano e poi ricadevano dolcemente su sé stesse. Quel movimento, simile a una danza sempre uguale e sempre diversa, mi ipnotizzava. Misi al passo con le onde i miei disordinati saltelli, finché acquistarono una cadenza, un ritmo trascinante, come se io fossi l’onda stessa. La rabbia evaporò come una lacrima al sole. Chiusi gli occhi. Io ero quel movimento. Quel ritmo. Io ero l’oceano. Gettai in aria le scarpe e i piedi sprofondarono nella sabbia tiepida. Sprofondarono dentro, al centro delle cose, dove non mi ero mai spinta.

Fu un’apoteosi. Una pioggia di lillà scese dal soffitto e gli spettatori mi dedicarono una lunga ovazione. Non fu che l’inizio del mio trionfo. Uno spettacolo dopo l’altro, la mia fama si accrebbe. Li ricordo bene quei giorni. Li centellinai uno a uno, fino all’ultima goccia. Risento il gusto proibito delle notti pesanti di stelle, del cibo carico di paprika, della musica degli zigani. Ogni sera, fuori dai teatri, mi attendeva una carrozza dorata, trainata da cavalli candidi…..

Gli dèi potevano essere molto crudeli. Potevano togliere tanto a coloro ai quali avevano donato. E io avevo raggiunto il successo, la celebrità e la felicità. Mi alzai di scatto e corsi in camera. I miei bambini erano lì. Mi distesi in mezzo a loro, li abbracciai, li annusai. Piccoli sogni di vita tiepida. Ma non bastava, non bastava ancora. Me li strinsi contro, volevo entrare in quei corpicini che avevo portato dentro. Essere il loro respiro, i battiti del cuore, la fuga del sangue. Mi sforzai, ma non ci riuscii. Rimanemmo tre corpi, vicini, ma distanti.
Il mattino seguente, mi svegliai con un ditino di Deirdre infilato nell’orecchio.
“Volevo vedere se da questo buchino potevo toccare i tuoi sogni”, mi disse, ridendo.
“E ci sei riuscita?”
“No, prima dei sogni c’era il corpo.”